sabato 16 maggio 2009

Padova: l'ultimo residente Italiano di Via Cairoli

«Chiedo i danni morali e materiali per la vita d’inferno che continuo a fare. Li chiedo al Sindaco, al Comune, allo Stato. È arrivato il momento che le istituzioni si prendano le loro responsabilità e paghino il conto di tutti i disagi e delle violenze ai miei diritti che da anni ormai sono calpestati. Sono costretto a vivere asserragliato in casa come fossi un criminale agli arresti domiciliari. È ora che qualcuno mi risarcisca per la non vita che sono costretto a condurre».Sembrerebbero le parole di un condannato, e in un certo senso lo sono, perché Marco Trevisan, il resistente metropolitano, l’ultimo italiano rimasto in via Cairoli, è proprio così che si sente. Condannato al degrado. Senza alcuno sconto sulla pena. Senza la possibilità di nessun indulto. Semmai quello spetta ai criminali che il giovane ingegnere, ogni giorno e ogni notte, si ritrova sotto alle finestre di casa. Persone dedite allo spaccio, quasi tutti extracomunitari, per lo più clandestini. Che non hanno nessun rispetto per niente e per nessuno. La strada, in questo caso il crocevia Bixio-Cairoli, è il loro posto di “lavoro”. Adescano i clienti, contrattano il prezzo per le dosi di cocaina ed eroina. Che spesso gli acquirenti consumano lì, direttamente. E poi ci sono i negozi multietnici, il bazar africano, la chinatown alla fine della strada. La birra e le altre bevande alcoliche scorrono a fiumi, accompagnando risse, scontri, urla, bottiglie spaccate sull’asfalto, contro i muri e anche le auto.«Ecco – dice Marco Trevisan – questo è il film della mia vita in un quartiere considerato residenziale a due passi dalle piazze e dal salotto buono della “Padova bene”. Non posso nemmeno aprire le finestre al mattino, perché altrimenti la casa si riempie degli effluvi notturni». Odore di urina, di feci lasciate sui marciapiedi assieme al vomito.«A luglio – continua Marco – mi sposo. Con la mia futura moglie c’è la voglia di creare una famiglia, di avere dei figli, ma non posso farli crescere in questo schifo. In questa parte di città che sembra Manhattan nel film “1997 Fuga da New York”. E però c’è la rabbia, perché la mia casa non vorrei abbandonarla come invece mi toccherà fare. La situazione qui è drammatica. Ringrazio le forze dell’ordine e il loro eroismo, però gli interventi che fanno, isolati, non servono. Non bastano. Da tempo sto chiedendo un incontro con il sindaco che non mi ha mai voluto ricevere. E allora adesso basta. Gli chiedo i danni morali e materiali causati dal degrado e se qualche avvocato vuole aiutarmi si faccia avanti».